Nelle maree. Parole e storie come ancore di fronte a una perdita

La scrittura aiuta a mettere in parole emozioni e emozioni

di Natalia Pazzaglia, project management e storytelling per il cambiamento*

Da bambina mia mamma mi faceva sempre disegnare: attraverso quelle immagini tracciavo un mondo: il mio. Diventata più grande ho abbandonato quella passione per far posto a un’altra, quella per le parole. Crescendo ho scoperto il potere delle storie, la loro capacità di portarmi altrove: che fosse in un paesaggio fantastico del Signore degli Anelli o sull’isola delle vacanze di un romanzo scandinavo, le parole creavano nuovi mondi. E più mi avvicinavo alle storie, più capivo che ci poteva essere una strada, diversa, per guardare la realtà, per darle un nuovo senso.

Nell’antichità, in molte culture le parole avevano un grande potere, conoscere il nome di qualcuno significava possederlo. Non avere, al contrario, la capacità di raccontare significava essere persi di fronte alla paura, all’incertezza, alle prove del destino.

Oggi viviamo cercando di codificare e controllare: le nostre routine, il lavoro, gli spostamenti, il modo di interagire con gli altri. Dare dei confini, stabilire indicazioni, costruire uno spazio entro cui muoverci ci rassicura, aiutandoci a creare una zona protetta in cui poter gestire gli imprevisti.

Cosa c’è, allora, di più fuori controllo della morte? Cosa c’è di più lontano dalla nostra zona di comfort di un’esperienza di cui nessuno può raccontarci?

Quando è mancata mia mamma, un anno fa, sono iniziati per me mesi di maree: il dolore non è programmabile, ha un andamento e una traiettoria a sé. Certi giorni mi sentivo bene, altri mi ritrovavo a piangere per un dettaglio, in balia di onde di emozioni che non sapevo controllare.

Della sua morte i medici avevano iniziato a parlarmi due anni prima, racchiudendo lo spazio di quello che restava in una previsione: ventiquattro mesi. Quel lungo accompagnamento si è sfilacciato in stati d’animo che si sono tinti di emozioni spesso negative: rabbia, frustrazione, preoccupazione, tristezza, paura. Il più delle volte non capivo cosa mi stesse succedendo, cosa stessi vivendo. Mi è capitato di pensare che quell’attesa fosse addirittura più terribile della morte stessa.

Quello che sentivo non riusciva più a starmi dentro, non potevo più contenerlo. E allora, ho iniziato a scrivere.

Otto mesi prima che mia mamma morisse, ho ripreso in mano “le morning pages”, un esercizio di scrittura creativa che mi aveva accompagnato in altri momenti di transizione. Venti minuti ogni mattina, appena alzata, senza guardare telefono né internet, lasciavo su carta quello che mi passava dentro, in un flusso di coscienza il più immediato possibile. Se, in passato, certe volte la pagina bianca mi aveva fatto paura, da allora è diventata un luogo di libertà, lo spazio in cui lasciar scorrere i pensieri, anche quelli più neri.

La morte porta con sé una collana di parole non dette, di domande sospese: iniziare a scrivere mi ha consentito di guardarle in faccia, di prendere per mano la Natalia che stava già piangendo la morte di sua mamma, e chiederle: “Quando ti guarderai indietro e lei non ci sarà più, che cosa avresti voluto che ti raccontasse? Quali ricordi rimpiangerai di non avere con lei? Cosa vorresti dirle prima che se ne vada?”

Scrivere ha fatto due cose: mi ha aiutato, in mezzo alle onde, a tornare a me, a ritrovare l’unico centro che, qualsiasi cosa fosse successo, non sarebbe cambiato: me stessa. E, passata la marea, mi ha accompagnato in quello che stavo vivendo, aiutandomi a tessere un filo tra quei mesi dolorosi, provando in punta di piedi e senza nessuna certezza, a dare un senso alle orme rimaste sulla sabbia.

Dalle morning pages sono passata alle storie più strutturate, finché scrivere è tornato ad essere, come in altri momenti difficili, il mio rifugio, il luogo dove non esistono sensazioni o emozioni sbagliate, uno spazio protetto dove posso essere me stessa e guardare alla realtà provando a seguire un filo. Anche con l’alta marea.

“Se puoi nominare qualcosa, puoi affrontarla” mi sono ripetuta quando le preoccupazioni e la tristezza riempivano uno spazio troppo grande. Le parole sono diventate i miei segni, le mie tracce, il mio modo di spiegarmi quando il mondo fuori non riusciva ad afferrare il mio universo interiore. I racconti sono diventati una linea per unire, una dopo l’altra, emozioni rimaste sospese. Per renderle, sulla pagina bianca, meno terribili di quanto potevano sembrare. Di fronte alla marea incontrollabile del dolore, la scrittura e le storie mi hanno dato forma e spazio, aiutandomi a tirare fuori, a rendere vero quello che, altrimenti, avrebbe abitato solo nella mia mente. La scrittura è diventata una medicina, un rimedio non sempre dolce ma il più delle volte efficace: per curare la ferita, per eliminare i granelli di sabbia, per disinfettarla anche quando brucia, per farla stare allo scoperto affinché cicatrizzi, perché si trasformi. Le storie hanno fatto di pensieri e emozioni sfuggevoli un racconto per elaborare e integrare, di fronte a qualcosa di incomprensibile e incontrollabile come è la morte.

E, proprio attraverso le parole, con il racconto di quello che stavo vivendo, ho capito di voler rispondere alla morte con la vita: così, dalla mia perdita è nato un progetto, Lasae.it, che prova a dare uno spazio, informazioni e strumenti perché la morte di una persona cara sia più lieve. Un progetto che nasce per fare in modo che nessuno debba più sperimentare la preoccupazione, la solitudine e l’incertezza economica, sociale e lavorativa di fronte alla morte di una persona cara. Uno spazio (per il momento virtuale) dove offrire contenuti e soluzioni utili per affrontare un lutto sotto tre punti di vista: pratico, emotivo, trasformativo. Dove, proprio attraverso le storie raccontate nella newsletter, provare a rendere la solitudine di chi affronta una perdita meno assoluta, condivisibile attraverso l’esperienza, il sentire e la storia di qualcun altro.

Le parole come ancore di fronte alla marea. Le storie come tracce attraverso i momenti in cui la vita passa a bussare e sembra voglia portarci via.

Articolo tratto da SOCREM News 2/2022

*  www.nataliapazzaglia.com  www.lasae.it/
Illustrazione di Elena Beatrice www.elenabratrice.it